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LA FAUNA DEL PARCO

Il Cerambice Morimus

Il Cerambice Morimus Asper ... il Pisasale!

A spasso per i boschi del Pollino ci sarà capitato di imbatterci in un curiosissimo coleottero dalle lunghe antenne!

Il Cerambice Morimus

  • Ordine: Coleotteri
  • Famiglia: Cerambydaceae
  • Genere: Morimus
  • Specie: Morimus Asper (Sulzer 1776)


Presente in molte zone dell’Europa ed ovviamente in Italia, svolge una fondamentale ed importante funzione, del resto come tutti gli altri coleotteri, in quanto vive e si nutre in boschi di conifere e latifoglie ad altitudini che arrivano fino ai 1500 m s.l.m., dove troviamo legno ormai morto.

La sua presenza è legata ai seguenti alberi:

  • Quercia
  • Faggio
  • Carpino
  • Ontano
  • Salice
  • Pioppo
  • Pino
  • Abete
  • Larice

I Cerambicidi caratterizzati da lunghe antenne sono chiamati con l'appellativo di "Longicorni", caratteristica che li rende facilmente riconoscibili.  Il Moribus presenta una coriacea corazza, il corpo di forma allungata e raggiunge una lunghezza che va dai 15 ai 40 mm. Non avendo ali non è in grado di volare, anzi il suo andare è molto lento.  Si caratterizza per il suo colore grigio-nero e presenta sulla sua corazza una spiccata forma granulosa, (l’appellativo ‘asper’ che gli è stato assegnato è in riferimento alla superficie ruvida del suo corpo) con macchie scure sulle elitre. Le sue antenne, lunghe e sottili (a volte smisurate nei maschi) sono potenti e fondamentali organi sensoriali.

La larva è marcatamente polifaga, ovvero si nutre di legno di diverse tipologie di albero, mentre la dieta degli adulti si basa su elementi vegetali. Si muovono di notte per andare alla ricerca di foglie, cortecce e quant'altro stuzzichi il loro appetito! Anche per l’accoppiamento e la deposizione delle uova prediligono le ore notturne. 

Tra le tante curiosità una riguarda la fase della conquista della femmina, che vede questi coleotteri tendenzialmente tranquilli, avere delle lotte eccessivamente cruente che portano in qualche caso a riportare gravi ferite o addirittura a perdere qualche zampa.

Le femmine dopo l’accoppiamento depongono le uova nei tronchi di alberi ormai morti, e dopo circa 20 giorni le uova si schiudono e le piccole larve avranno tutto l’occorrente per il loro nutrimento.

Curiosità:

  • Se molestato il Morimus è in grado di emettere suoni striduli, sfregando le articolazioni del torace.
  • Può vivere fino a 2 anni.
  • La fase di attività maggiore va da marzo a ottobre.
  • Il termine ‘Morimus’ deriva dalla parola greca ‘Mòrimos’, che significa ‘destinato a morire’.
  • Nel gergo locale viene chiamato con il nome di Pisasale!

Foto Gaetano Sangineti

La Rosalia Alpina

La Rosalia Alpina

Da un punto di vista faunistico, l'area del Parco Nazionale del Pollino è fra le più rilevanti di tutto il meridione d'Italia. Oltre alla varietà di ambienti, la posizione geografica consente una elevata ricchezza di specie e di peculiarità zoologiche.
Fra gli Insetti più importanti è presente uno dei coleotteri più rari d'Europa, e Rosalia alpina, Il cerambice del faggio (Rosalia alpina LINNAEUS, 1758) della famiglia Cerambycidae, un bellissimo e appariscente Coleottero di colore azzurro cenere con macchie nere vellutate, tipico delle estese faggete mature, presenti nel Pollino e con maggior diffusione nel Massico del Pellegrino e Monte la Mula , e indice di un basso grado di alterazione degli ambienti forestali.


L’insetto è noto per la particolare colorazione e per i tratti neri presenti sui segmenti delle antenne; inoltre è anche tra i più grandi rappresentati dell’ordine dei Coleoptera grazie alla lunghezza del corpo che può andare dai 14 fino ai 40 mm. L’aspetto è inconfondibile: il corpo e le elitre hanno una colorazione che va dal grigio-blu fino al blu chiaro. Le elitre, bordate di chiaro, presentano inoltre delle chiazze nere di dimensioni e forma variabile che permettono di distinguere un esemplare da un altro. Il nome della specie è fuorviante, dato che la distribuzione non è limitata alle sole Alpi, ma si riferisce alla posizione in cui è stato raccolto il campione con cui Linnaeus descrisse per la prima volta la specie nel 1758. Il campione fu raccolto da Johann Jakob Scheuchzer il 12 luglio del 1703 nella Taminatal, valle presente in Svizzera che appartiene oggi al Cantone di San Gallo.


Il suo habitat è costituito esclusivamente da piante morte o malandate, oppure parti morte di piante sane e ceppi. È un ottimo indicatore biologico di boschi vetusti di latifoglie in buono stato di conservazione. La sua rarità e vulnerabilità è legata proprio alla alterazione e riduzione degli habitat in cui vive. 

Stefano Saetta

Foto di Stefano Saetta Luglio 2019 Monti dell’Orsomarso

Il Lupo nel Pollino

Il Lupo nel Pollino  

Tra le componenti di maggior rilievo della fauna presente nella nostra regione e nel Parco Nazionale del Pollino, sicuramente il lupo è da sempre la specie che più di ogni altra ha colpito l’immaginazione dell’uomo. In molte culture il Lupo è considerato il simbolo del male, della natura ostile e pericolosa, in altre venerato come un dio e ritenuto più saggio e più furbo dell’uomo. I retaggi di natura culturale e psicologica nei suoi confronti, le sue esasperate (e molto spesso irreali) capacità predatorie, sono i motivi che da sempre hanno determinato una forte ostilità nei confronti della specie). Questo fiero predatore, non presenta in realtà alcuna differenza con gli individui di lupo appenninico presenti sul reso del territorio nazionale, di dimensioni inferiori rispetto ai parenti americani o nord europei, il peso assume valori intermedi che oscillando in media tra i 20 ed i 35 kg e comunque non superando punte massime di 40-45 kg, rispetto ai maschi le femmine hanno in genere peso e dimensioni leggermente inferiori. La colorazione del lupo in Italia è prevalentemente grigia- fulva, con tonalità tendenti al marrone-rossiccio più tipicamente durante il periodo estivo. Il lupo ha arti lunghi, zampe larghe e un'ottima capacità di resistenza grazie alla quale può coprire oltre 30 km con un passo detto “trotto costante” con alla velocità di 6 -10 km/h.

 

L'odorato è il senso più sviluppato, il suo olfatto è infatti 100 volte più sensibile di quello dell'uomo e può individuare la sua preda a più di un chilometro di distanza. I lupi sono animali sociali, e vivono in branchi. Di solito il branco si origina da una coppia i cui figli restano con i genitori anche dopo aver compiuto un anno; altrimenti essi possono allontanarsi ed occupare nuovi territori. Nel branco vige una rigida gerarchica, il rango più alto è occupato da un maschio dominante e segue una femmina dominante e via via tutti gli altri individui. All'interno di un branco tipo di lupi si ritrova una coppia dominante (detta alfa), un individuo o una coppia immediatamente successiva in importanza (detta beta), alcuni individui di medio rango fino ad arrivare ad uno o più lupi di rango inferiore (detti omega). Gli alfa comandano tutto il gruppo, i beta dirigono i lupi di medio livello e tutti gli adulti comandano gli individui di medio e basso rango. Mentre i due estremi della gerarchia tendono all'immutabilità dei ruoli, eccetto i casi di ferimenti o morte, è il medio rango ad essere più dinamico socialmente. Una diversa considerazione invece spetta ai cuccioli, che fino all'età della maturità sessuale restano fuori da questi delicati equilibri, mentre le femmine sono sempre in seconda posizione rispetto al maschio pari grado. Da sempre il versante sud occidentale Calabro del Parco Nazionale del Pollino “il Massiccio del Pellegrino e la Mula e Montea”, conosciuti inopportunamente come i “Monti dell’Orsomarso” tutt'oggi offrono paesaggi selvaggi e incontaminati dal grande valore botanico e naturalistico, considerate tra le ultime zone Wilderness d’Europa, da sempre sono state una delle aree di maggiore importanza per la sopravvivenza del lupo in Italia. Infatti, anche negli anni di più grave declino del Lupo, quando la specie è stata sull’orlo dell’estinzione nel nostro Paese, proprio in queste zone, era presente una delle popolazioni più vitali ed attive del mezzogiorno e l’area rappresentava l’estremo limite meridionale di diffusione e di conservazione della specie;

Sui massicci calabresi e pochi altri massicci dell’Appennino centrale e meridionale il lupo è riuscito a sopravvivere ai decenni più bui e proprio da questi nuclei è iniziata la lenta ricolonizzazione spontanea della penisola e delle Alpi.

 

È importante sottolineare che in Italia non sono mai stati effettuati interventi di reintroduzione o di ripopolamenti di lupi in ambiente selvatico (come invece raccontano molte leggende metropolitane), ma la ripresa demografica della specie è un processo naturale determinato da diversi fattori come il regime di protezione accordatogli Distribuzione del lupo in Italia nel 2015.

Si è passati dalla persecuzione sistematica dell’uomo, all'incremento delle popolazioni di prede selvatiche, e con l’istituzione di aree protette si è avuta una maggiore consapevolezza dell’importante valore ecologico della specie.

 

Non è facile stimare il numero di esemplari presenti nell'intero comprensorio del Parco Nazionale del Pollino proprio perché sono animali schivi all'uomo , i dati relativi alla specie in questa enorme area  sono piuttosto frammentari e discontinui, sicuramente in forte crescita, ovviamente i dati  disponibili fanno riferimento alle indagini condotte da alcuni esperti specialisti Etologi e tecnici, che dichiarano accertando la presenza, nell'area del Parco di diversi branchi di lupi, composti da un numero minimo di 3-4 individui ciascuno.

Per questo monitoraggio gli esperti, utilizzano delle particolari tecniche di indagine, riuscendo ad individuare alcune aree utilizzate per la riproduzione, in particolare con la tecnica del wolf-howling accertando  la riproduzione di diversi  branchi e contando i cuccioli nati. Tale tecnica consiste nel stimolare la naturale capacità di riposta dei lupi ad uno stimolo sonoro, facendo risuonare degli ululati registrati; in questo modo, contando il numero di ululati diversi si ottiene la stima della popolazione. Un’altra tecnica più comune lo snow-tracking “Tracciature su neve” è una tecnica di campo che, mediante l’individuazione delle tracce impresse su neve, consente di pervenire essenzialmente a tre importanti informazioni: presenza/assenza della specie; stima della consistenza numerica e interpretazione della dinamica spazio-temporale degli spostamenti dei lupi all'interno del loro territorio.

 

 

Foto-videotrappolaggio

La tecnica del foto-videotrappolaggio consiste nell'uso strumenti capaci di fotografare e/o filmare che vengono collocate nell’area di studio e si attivano automaticamente mediante un sensore di passaggio, così da ottenere foto o video di un animale al suo passaggio davanti al sensore. Attraverso le foto-videotrappole è dunque possibile verificare la presenza di lupi all'interno di un territorio, il numero di individui e la composizione del branco e l'eventuale riproduzione, nel caso in cui vengano ripresi anche i cuccioli; inoltre fornisce dati oggettivi in un lasso di tempo notevolmente ridotto e spesso informazioni supplementari sul fenotipo degli individui fotografati e le condizioni fisiche esteriori che possono dare indicazioni sullo stato di salute dei soggetti fotografati o filmati.


Radiotelemetria

La radio-telemetria è una tecnica che permette di seguire un animale a distanza tramite la ricezione di impulsi radio. Essa implica la cattura di esemplari presenti sul territorio, la collocazione di un’unità di trasmissione posta sugli stessi (radiocollare), l’immediato rilascio e la loro successiva localizzazione che fino a qualche anno fa veniva effettuata tramite un’unità ricevente (radio ricevente) collocata ad un’antenna direzionale. È una vecchia tecnica, che implica un grosso dispendio di energie, utilizzata anche tutt'ora tra “radioamatori per triangolare e chiudere un’area con segnali radio ricevuti, conosciuta come “Caccia alla volpe”.

Oggi le moderne metodologie e tecniche scientifiche hanno fatto grandi passi ed utilizzano sistemi moderni all'avanguardia, con collari satellitari o gps- gsm al posto dei tradizionali, in grado di seguire gli spostamenti mediante la raccolta di dati di posizione dal satellite e trasmessi usando la rete dei cellulari e sistemi dati (3G/4G probabilmente a breve 5G) ottenendo risultati interessanti molto più precisi con sforzi minori.

 

Stefano Saetta

 

La Cinciallegra

La Cinciallegra 

 

 


Ordine: Passeriformi   Famiglia: Paridi   Genere: Parus   Specie: Parus major


È la più grande di tutte le Cince. La cinciallegra ha una lunghezza di circa 15 cm, presenta un piumaggio di color verdastro nelle parti superiori mentre appare giallastro in quelle inferiori, la gola e vertice sono invece nere, bianche sono le guance mentre lungo l'addome troviamo una striscia nera longitudinale. Nel suo modo di cantare emette note chiare e semplici. Tra le sue caratteristiche sono la sua curiosità e il suo essere “allegra”, nonostante questo non la si vede quasi mai a terra. Elemento caratteristico il suo svolazzare tra i rami, appendendosi a testa in giù per raggiungere insetti e bacche sui rami.

 


Poco tollerante con altri uccelli e non risparmia quelli della sua specie. Spesso attacca anche uccelli di dimensioni maggiori, assalendoli di sorpresa tentando di fratturare il cranio.

Diffusione

  • Europa
  • Africa nord-occidentale
  • Canarie
  • Asia centro-meridionale
  • In Italia ha diffusione estesa, stazionaria e di passo. Se ne stimano da 1 a 2 milioni di coppie nidificanti.

Vive nei boschi misti e di conifere. Frequenta frutteti e giardini dove non nidifica poiché evita la vicinanza dell'uomo.
La coppia cova da 6 a 14 uova indistintamente. Le uova sono di colore bianco con macchie rossicce. In stagioni favorevoli la femmina depone una seconda volta. La femmina cova per 13-14 giorni, e viene alimentata dal maschio. I piccoli vengono alimentati da entrambi i genitori e lasciano il nido dopo 18-20 giorni.
Molto vorace, si ciba prevalentemente di insetti, e di larve, cosa particolare che continua ad ucciderne anche quando è sazio, sminuzza le sue prede con il becco tenendolo saldo con le zampe come fanno i corvidi. Molto saggio e previdente realizza riserve di cibo per i giorni di magra. Non disdegna ragni, piccoli molluschi, lombrichi, frutti e semi e non esita ad uccidere i nidiacei di altri uccelli.

Libellula o Damigella

Libellula o Damigella

Calopteryx splendens - Foto Gaetano Sangineti


Le libellule appartengono all'ordine degli Odonati “dal greco: mandibole dentate” si dividono in due gruppi principali: gli Anisotteri, o “vere libellule”, e gli Zigotteri o "damigelle". Presentano il corpo allungato, occhi grandi, antenne corte e due paia di ali trasparenti.
La distinzione avviene facilmente da posate poiché:
• Le libellule tengono le ali aperte e orizzontali.
• Le damigelle tengono le ali verticali e chiuse sopra il corpo.
Vivono nelle vicinanze dell'ambiente acquatico, si nutrono di insetti che catturano in aria, mentre gli esemplari giovanili “ninfe” vivono in acqua e si nutrono di insetti e girini.
Quando la larva diviene matura, passa alla fase successiva “la metamorfosi” così la “ninfa” si arrampica fuori dall'acqua ed in pochi giorni, si evolverà in un insetto adulto. Curiosità la loro fase di sviluppo può durare fino a 5 anni.
Le libellule:
• riescono a battere le ali anche 20 volte al secondo.
• possono arrestarsi istantaneamente.
• sanno librarsi immobili.
• possono volare all'indietro ma per brevi tratti.

Le Damigelle
• hanno vari colori.
• sono più piccole di dimensioni.
• sono più numerose delle libellule.
• hanno forma più slanciata, leggera e aggraziata.
• praticano un volo più lento.