La necropoli altomedievale di Celimarro
Posta su di un’altura che guarda il fiume Coscile, tra il VI e il VII secolo d.C. viene collocata la necropoli altomedievale dei Celimarro. Le tombe furono rinvenute casualmente nel 1957 durante i lavori di una centrale elettrica ed il sito fu oggetto di ricerche da parte di Agostino Miglio, pioniere dell’archeologia nel territorio di Castrovillari e più tardi da parte del Gruppo Archeologico del Pollino e dall’Università della Calabria con indagini condotte dal Prof. Roma ( il sito conosce anche l’immancabile mano di alcuni clandestini).
Le tombe rinvenute sono tutte di tipo antropomorfo, furono intagliate in un banco di travertino con orientamento O-E. Le sepolture sono plurime e riutilizzate, una in particolare con deposizione multipla in cui lo scheletro relativo all’ultima deposizione presentava le braccia incrociate sul petto. Ogni tomba presenta affascinanti caratteristiche come quella di un neonato o quelle ricoperte da grandi macine di pietra.
Nei pressi delle sepolture, furono rinvenuti diversi frammenti di ceramica da cucina, il che fa ritenere che fosse praticato il rito del “banchetto funebre”, mentre cosa ancora più interessante la presenza di buchi di palo nei pressi delle sepolture. Il Prof. G. Roma ipotizzò che potessero essere utilizzati per porvi delle “pertiche” (segnacoli per il ricordo del defunto) come nella descrizione della “Historia Langobardorum” di Paolo Diacono.
Le significative differenze riscontrate tra le tombe, fanno ipotizzare che la necropoli fosse utilizzata da due popolazioni di cultura diversa.
Fonte Museo Archeologico Castrovillari Gruppo Archeologico del Pollino
LA VILLA ROMANA CAMERELLE
Lungo le sponde del Fiume Coscile nel territorio di Castrovillari, ritroviamo uno dei complessi più noti di insediamento rurale di epoca romana. I resti dell’edificio della villa romana di Camerelle, ubicato a mezza costa su un terrazzamento che la colloca in ottima posizione rispetto alla piana, tanto che nelle fonti, veniva identificata come location ottimale per clima e fecondità del terreno.
L’edificio presentava numerosi ambienti dai quali si definivano la pars urbana, la pars rustica e la pars fructuaria. La zona produttiva (pars fructuaria) viene identificata dalla presenza di un ambiente adibito alla conservazione delle derrate (granaria, correa), di un torcularium e di alcune vasche di decantazione.
Le strutture murarie sono realizzate in opus incertum, visibili ancora oggi nonostante la struttura sia stata inglobata in una recente casa colonica.
Negli anni sessanta si acquisirono alcuni dati, come la planimetria e furono recuperati numerosi reperti che hanno permesso di stabilire la vita della villa, ovvero dal I a.C. al III/IV d.C., ma visto il ritrovamento di un bicchiere a calice, sembrerebbe portare la frequentazione della villa al V sec. d.C. Reperti ad oggi conservati presso il Museo Archeologico di Castrovillari.
Fonte Museo Archeologico di Castrovillari Gruppo Archeologico del Pollino.
Santa Maria della Valle o San Rocco
Entrando nel centro storico di Castrovillari, proprio ai piedi del Monte Pollino e del Dolcedorme, non passa inosservata la piccola chiesetta di fianco il monumentale Palazzo Cappelli che chiude Corso Garibaldi.
La chiesetta di San Rocco in principio aveva un altro nome ovvero "Santa Maria della Valle" da un piccolo affresco ancora oggi visibile, nonostante sia stato snaturato dalle ridipinture, che raffigura una Madonna che stringe al petto il piccolo Gesù, opera popolare ma di grande devozione come testimoniano le due mezze corone d'argento di fabbricazione napoletana e i segni che la pece usata per sostenere i monili, ha lasciato sulle figure.
(Palazzo Cappelli)
Il titolo fa riferimento alla valle del Torrente Canalgreco. I dettagli architettonici come la volta crociera ogivata colloca l'edificio nel XV secolo, mentre più tardo è il piccolo portico d'ingresso, così come il campanile a vela dove sono poste due campane.
(scorcio del Castello Aragonese alle spalle della chiesetta di San Rocco)
Nel XVIII secolo due monumentali altari in marmi policromi di provenienza partenopea vanno ad arricchire la piccola chiesetta assieme al quadro dell'altare maggiore raffigurante San Rocco che andrà a sostituirsi all'antico titolo della chiesa.
La Villa Romana di Larderia - Roggiano (CS)
Foto Gaetano Sangineti
BARRIO, “Antichità e Luoghi della Calabria” 1571
Valle dell'Esaro in Età Romana
A quattro miglia su Temesa c’è Vergiano; il volgo la chiama Rogiano, mutate le prime lettere, una volta detta vergae. E' città sicuramente antica, ma non so con certezza se sia stata fondata dagli Ausoni o dagli Enotri. Parla Livio di questa città, che scrive ritornò ai Romani, come ò dimostrato, con alcune altre. L’agro vergiano è fecondo, si producono vini e mieli famosi. Si raccoglie la manna, si produce seta di ottima qualità. Si tessono a Vergiano panni quali sono tessuti a Murano…
Dopo Saracena, a cinque miglia, vi è Altomonte, città antica, su un luogo alto, una volta detta Balbia. Ma si ignora se fu fondata dagli Ausoni o dagli Enotri. Di qui il vino balbino, notevole per bontà, ricordato nel libro XIV da Plinio, che lo loda molto con altri vini di Calabria. Ateneo nel libro I, così ne parla: “Il vino balbino e generoso e duro, e sempre spontaneamente diviene migliore”. Di qui la vite balbina, altrimenti biblina, fu portata dalla Sicilia, come tramanda Ateneo, il quale così scrive nel I libro: “Ippia di Reggio affermo fu chiamata biblina quella vite che Pollis di Argo, il quale regnò su Siracusa, per primo portò a Siracusa dall’Italia, e forse quel vino che è chiamato Polio presso i Siculi, è lo stesso.
Foto Gaetano Sangineti
La Villa Romana loc. Larderia
foto Gaetano Sangineti
Al centro della Media Valle dell’Esaro, adagiato su una collina, il paese di Roggiano Gravina dove vegetano rigogliose querce, ulivi e viti, sorge a 225 m s.l.m., in una posizione baricentrica tra lo Jonio e il Tirreno.
Nel comune di Roggiano Gravina, alla sinistra del fiume Esaro, si trova la località di Larderia dal latino lardum = lardo e trae nome dalla grande produzione agricola e dall’allevamento dei suini, molto importante in questa zona.
L’importanza di Larderia nasce nel 1973, anno in cui furono condotti scavi nell’area per la costruzione della diga dell’Esaro.
L’ex Casmez, per dare una sistemazione idrogeologica, che portasse all’utilizzo dell’acque dell’Esaro e all’attenuazione delle piene, redasse uno schema idrico, che prevedeva di costruire due dighe sullo stesso fiume: la prima a Cameli, la seconda a Farneto del Principe di Roggiano Gravina.
Quest’ultima fu data in appalto all’impresa “Ferracemento”, ma durante i lavori vennero alla luce i ruderi di un’antica struttura.
I responsabili della Soprintendenza alle Antichità della Calabria avviarono due campagne di scavo, una nel 1974 e l’altra nel 1975.
La prima campagna di scavo, condotta dal dott. Chiarlo, ha portato alla luce una villa rustica di età romana, databile tra il I e sec. d.C., organizzata su diversi livelli e formata da una parte residenziale e una parte produttiva.
Sono stati ritrovati numerosi frammenti di sigillata italica, di forme diverse sia lisci che decorati, una lucerna a matrice, vari frammenti balsamari, la metà inferiore di un pithos, un’ansa di bronzo.
La campagna di scavo ha interessato anche una zona posta a circa 200m a nord- ovest, qui vi si nota un rudere costituito da un’abside, in opera mista.
In questa zona sorge il complesso termale, dotato di sistema di riscaldamento alimentato da una fonte che in gergo viene chiamata la “fonte del lupo”.
Nel 1975, unitamente alla scoperta relativa a quest’impianto termale, venne messo in luce il primo di una serie di pavimenti a mosaico, che sono il tratto saliente di questa villa.
La villa di Larderia è l’unica villa della Calabria settentrionale, che abbia un così alto numero di mosaici pavimentali, tutti con decorazione geometrica realizzata sia con tessere bianche e nere, sia con tessere policrome.
Dalla villa di Larderia si hanno importanti indicazioni: i mosaici sono probabilmente il prodotto di artigiani locali, che lavoravano nel territorio della città di Copia (Sibari), su cui gravitava la valle dell'Esaro.
Dott.ssa Viviana Caparelli
Foto Gaetano Sangineti