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Casalini della Porta Serra - San Sosti (CS)


Lungo un sentiero che si inerpica al di sopra del bellissimo Santuario della Madonna del Pettoruto presso San Sosti, nel Parco Nazionale del Pollino, attraverso boschi misti di leccio, querce, pini e frassini incontriamo resti di mura che testimoniano l’antica presenza umana in questo corridoio sulle gole del fiume Rosa. Posto a 896 metri s.l.m. scopriamo un interessantissimo luogo fortificato.
Lungo il sentiero ci lasciamo alle spalle i ruderi di antiche fortificazioni, muri, torrette e cisterne, fino ad arrivare su dove alcune torri ci danno l’idea di essere al centro di un trapezio difensivo. Gli scavi archeologici ci ridanno una cronologia interessante, poiché l’area è frequentata dal Neolitico medio. Successivamente tra il VI ed il VII sec. d.C. fu edificata una prima cinta muraria di quello che può essere definito un Castrum. Ancora più tardi tra il X e l'XI sec. d.C. questa “Acropoli” venne ulteriormente fortificata per poi arrivare all'ultima fase, collocabile tra il XIII ed il XIV sec. d.C.


• Pavimento di una capanna di età protostorica.
• Insediamento longobardo del VI-VII sec. d.C.
• Kastron bizantino risalente al IX-X sec. d.C.
L’accesso alla cittadella avveniva attraverso una “porta a tenaglia”, ovvero, una strada con passaggio obbligato tra due torri, ottimale per il controllo e difesa dell’ingresso.


Nel punto più alto troviamo i resti di una chiesetta bizantina con la tipica navata a pianta longitudinale. Presenta un’abside centrale rivolto a est, rispettando i canoni liturgici orientali, e due piccoli absidi, rispettivamente diakonikon e prothesis, databile al IX-X sec.
Questo affascinante e panoramico luogo immerso nel verde è sicuramente uno dei siti archeologici più interessanti del Parco Nazionale del Pollino, Casalini di Porta Serra, forse l’antica Artemisia, chi può dirlo, sicuramente rimane un luogo di straordinaria bellezza dov'è possibile respirare l’aria purissima, ed essere accarezzati dal passaggio della storia, quella storia poco nota ma che tramanda la cultura e lo straordinario passato di questi meravigliosi luoghi.

foto Gaetano Sangineti

L'Ospizio del SS. Crocifisso


Lungo la strada che da Castrovillari conduce al borgo di Morano Calabro, una volta superato il ponticello dell’antica ferrovia calabro-lucana Lagonegro-Spezzano Albanese, incontriamo una struttura che desta grande curiosità, l’ormai rudere dell’Ospizio del SS. Crocifisso, storico convento di Morano.

Edificato nell'anno 1666 sul ciglio della strada consolare, per iniziativa del Sig. Marco Colobraro e alcuni fedeli che con le proprie offerte riuscirono nell’intento di edificare un rifugio atto ad accogliere viandanti ammalati e bisognosi di soccorso, specialmente nella stagione invernale.

Portato a termine nel 1673, il complesso era costituito da una chiesetta omonima, da un caseggiato a forma di convento ed un attiguo appezzamento di terreno le cui derrate maggioravano l'introito enfiteutico annuale di altri terreni valutato in 28 ducati. Il fondatore ne tenne l’amministrazione per 10 anni, poi divenne jus patronato del real Demanio, gestito dalla Beneficenza.

Poiché questa ne trascurò la manutenzione, nel 1854 era ridotto in pessime condizioni. Ferdinando II decretò che ne avessero cura i Cappuccini. Il suo ripristino andò di pari passo con quello del convento di Morano fino alla soppressione. Delle vicende posteriori non si fa più cenno nelle fonti, e con ogni probabilità l'Ospizio del SS. Crocifisso, tornò in possesso del Demanio.

ph. G.S.

 

La Madonna Nera di Castrovillari

 

Ignoto pittore del XVI secolo Olio su tela cm 105 x 73

Raffigurata su quello che un tempo doveva essere un fondo giallo-oro, la Vergine nera a mezza figura avvolta in un Maphorion di colore rosso scuro, dove si evincono le tre stelle virginali, con il Cristo sorretto sul braccio destro che indossa il chitone bianco e himation giallo, Castrovillari sfoggia questa suggestiva opera, ad oggi conservata nella Basilica Minore di San Giuliano.

Dal punto di vista iconografico viene rappresentato il tipo della Madonna Glykophilousa nella variante in cui il bambino regge in una mano il rotolo e poggia l'altra in quella protesa della madre, mentre un sandalo vi scivola dal piede.

Biagio Cappelli nel 1980 la presenta per la prima volta datandola sul finire del Cinquecento e la riconduce ad una copia fatta eseguire dal vescovo di Cassano, Bonifacio Gaetani ( 1597-1613) per la chiesa di Santa Maria la Nuova di Castrovillari.

Restaurata da Giorgio Leone nel 1985, l'icona è stata oggetto di approfondimenti ed è probabilmente da attribuire a pittore “adriatico”, gravitante nell'orbita Veneziana della pittura di icone.

 

La necropoli altomedievale di Celimarro

Posta su di un’altura che guarda il fiume Coscile, tra il VI e il VII secolo d.C. viene collocata la necropoli altomedievale dei Celimarro. Le tombe furono rinvenute casualmente nel 1957 durante i lavori di una centrale elettrica ed il sito fu oggetto di ricerche da parte di Agostino Miglio, pioniere dell’archeologia nel territorio di Castrovillari e più tardi da parte del Gruppo Archeologico del Pollino e dall’Università della Calabria con indagini condotte dal Prof. Roma ( il sito conosce anche l’immancabile mano di alcuni clandestini).

Le tombe rinvenute sono tutte di tipo antropomorfo, furono intagliate in un banco di travertino con orientamento O-E. Le sepolture sono plurime e riutilizzate, una in particolare con deposizione multipla in cui lo scheletro relativo all’ultima deposizione presentava le braccia incrociate sul petto. Ogni tomba presenta affascinanti caratteristiche come quella di un neonato o quelle ricoperte da grandi macine di pietra.

Nei pressi delle sepolture, furono rinvenuti diversi frammenti di ceramica da cucina, il che fa ritenere che fosse praticato il rito del “banchetto funebre”, mentre cosa ancora più interessante la presenza di buchi di palo nei pressi delle sepolture. Il Prof. G. Roma ipotizzò che potessero essere utilizzati per porvi delle “pertiche” (segnacoli per il ricordo del defunto) come nella descrizione della “Historia Langobardorum” di Paolo Diacono.

Le significative differenze riscontrate tra le tombe, fanno ipotizzare che la necropoli fosse utilizzata da due popolazioni di cultura diversa.

Fonte Museo Archeologico Castrovillari Gruppo Archeologico del Pollino

 

LA VILLA ROMANA CAMERELLE

 

Lungo le sponde del Fiume Coscile nel territorio di Castrovillari, ritroviamo uno dei complessi più noti di insediamento rurale di epoca romana. I resti dell’edificio della villa romana di Camerelle, ubicato a mezza costa su un terrazzamento che la colloca in ottima posizione rispetto alla piana, tanto che nelle fonti, veniva identificata come location ottimale per clima e fecondità del terreno.

L’edificio presentava numerosi ambienti dai quali si definivano la pars urbana, la pars rustica e la pars fructuaria. La zona produttiva (pars fructuaria) viene identificata dalla presenza di un ambiente adibito alla conservazione delle derrate (granaria, correa), di un torcularium e di alcune vasche di decantazione.

Le strutture murarie sono realizzate in opus incertum, visibili ancora oggi nonostante la struttura sia stata inglobata in una recente casa colonica.

Negli anni sessanta si acquisirono alcuni dati, come la planimetria e furono recuperati numerosi reperti che hanno permesso di stabilire la vita della villa, ovvero dal I a.C. al III/IV d.C., ma visto il ritrovamento di un bicchiere a calice, sembrerebbe portare la frequentazione della villa al V sec. d.C. Reperti ad oggi conservati presso il Museo Archeologico di Castrovillari.

Fonte Museo Archeologico di Castrovillari Gruppo Archeologico del Pollino.

 

Santa Maria della Valle o San Rocco

 

Entrando nel centro storico di Castrovillari, proprio ai piedi del Monte Pollino e del Dolcedorme, non passa inosservata la piccola chiesetta di fianco il monumentale Palazzo Cappelli che chiude Corso Garibaldi. 

La chiesetta di San Rocco in principio aveva un altro nome ovvero "Santa Maria della Valle" da un piccolo affresco ancora oggi visibile, nonostante sia stato snaturato dalle ridipinture, che raffigura una Madonna che stringe al petto il piccolo Gesù, opera  popolare ma di grande devozione come testimoniano le due mezze corone d'argento di fabbricazione napoletana e i segni che la pece usata per sostenere i monili, ha lasciato sulle figure.

(Palazzo Cappelli)

Il titolo fa riferimento alla valle del Torrente Canalgreco. I dettagli architettonici come la volta crociera ogivata colloca l'edificio nel XV secolo, mentre più tardo è il piccolo portico d'ingresso, così come il campanile a vela dove sono poste due campane.

(scorcio del Castello Aragonese alle spalle della chiesetta di San Rocco)

Nel XVIII secolo due monumentali altari in marmi policromi di provenienza partenopea vanno ad arricchire la piccola chiesetta assieme al quadro dell'altare maggiore raffigurante San Rocco che andrà a sostituirsi all'antico titolo della chiesa.

 

La Villa Romana di Larderia - Roggiano (CS)

 

Foto Gaetano Sangineti


BARRIO, “Antichità e Luoghi della Calabria” 1571

Valle dell'Esaro in Età Romana


A quattro miglia su Temesa c’è Vergiano; il volgo la chiama Rogiano, mutate le prime lettere, una volta detta vergae. E' città sicuramente antica, ma non so con certezza se sia stata fondata dagli Ausoni o dagli Enotri. Parla Livio di questa città, che scrive ritornò ai Romani, come ò dimostrato, con alcune altre. L’agro vergiano è fecondo, si producono vini e mieli famosi. Si raccoglie la manna, si produce seta di ottima qualità. Si tessono a Vergiano panni quali sono tessuti a Murano…

Dopo Saracena, a cinque miglia, vi è Altomonte, città antica, su un luogo alto, una volta detta Balbia. Ma si ignora se fu fondata dagli Ausoni o dagli Enotri. Di qui il vino balbino, notevole per bontà, ricordato nel libro XIV da Plinio, che lo loda molto con altri vini di Calabria. Ateneo nel libro I, così ne parla: “Il vino balbino e generoso e duro, e sempre spontaneamente diviene migliore”. Di qui la vite balbina, altrimenti biblina, fu portata dalla Sicilia, come tramanda Ateneo, il quale così scrive nel I libro: “Ippia di Reggio affermo fu chiamata biblina quella vite che Pollis di Argo, il quale regnò su Siracusa, per primo portò a Siracusa dall’Italia, e forse quel vino che è chiamato Polio presso i Siculi, è lo stesso.

 

Foto Gaetano Sangineti

 

La Villa Romana loc. Larderia

foto Gaetano Sangineti

 

Al centro della Media Valle dell’Esaro, adagiato su una collina, il paese di Roggiano Gravina dove vegetano rigogliose querce, ulivi e viti, sorge a 225 m s.l.m., in una posizione baricentrica tra lo Jonio e il Tirreno.
Nel comune di Roggiano Gravina, alla sinistra del fiume Esaro, si trova la località di Larderia dal latino lardum = lardo e trae nome dalla grande produzione agricola e dall’allevamento dei suini, molto importante in questa zona.
L’importanza di Larderia nasce nel 1973, anno in cui furono condotti scavi nell’area per la costruzione della diga dell’Esaro.
L’ex Casmez, per dare una sistemazione idrogeologica, che portasse all’utilizzo dell’acque dell’Esaro e all’attenuazione delle piene, redasse uno schema idrico, che prevedeva di costruire due dighe sullo stesso fiume: la prima a Cameli, la seconda a Farneto del Principe di Roggiano Gravina.


Quest’ultima fu data in appalto all’impresa “Ferracemento”, ma durante i lavori vennero alla luce i ruderi di un’antica struttura.
I responsabili della Soprintendenza alle Antichità della Calabria avviarono due campagne di scavo, una nel 1974 e l’altra nel 1975.
La prima campagna di scavo, condotta dal dott. Chiarlo, ha portato alla luce una villa rustica di età romana, databile tra il I e sec. d.C., organizzata su diversi livelli e formata da una parte residenziale e una parte produttiva.


Sono stati ritrovati numerosi frammenti di sigillata italica, di forme diverse sia lisci che decorati, una lucerna a matrice, vari frammenti balsamari, la metà inferiore di un pithos, un’ansa di bronzo.
La campagna di scavo ha interessato anche una zona posta a circa 200m a nord- ovest, qui vi si nota un rudere costituito da un’abside, in opera mista.
In questa zona sorge il complesso termale, dotato di sistema di riscaldamento alimentato da una fonte che in gergo viene chiamata la “fonte del lupo”.


Nel 1975, unitamente alla scoperta relativa a quest’impianto termale, venne messo in luce il primo di una serie di pavimenti a mosaico, che sono il tratto saliente di questa villa.
La villa di Larderia è l’unica villa della Calabria settentrionale, che abbia un così alto numero di mosaici pavimentali, tutti con decorazione geometrica realizzata sia con tessere bianche e nere, sia con tessere policrome.
Dalla villa di Larderia si hanno importanti indicazioni: i mosaici sono probabilmente il prodotto di artigiani locali, che lavoravano nel territorio della città di Copia (Sibari), su cui gravitava la valle dell'Esaro.

Dott.ssa Viviana Caparelli

 

 

Foto Gaetano Sangineti