M.A.G.B. Museo Arti Gusto Buonvicino.
Follis dell'Imperatore Bizantino Costantino VII
Il museo conserva e valorizza la memoria storica di Buonvicino custodendo quei manufatti, che testimoniano la storia e le tradizioni del territorio. Gli oggetti conservati fanno riferimento ad un lasso di tempo che va dal X secolo fino ai giorni nostri.
Suddiviso in 5 ambiti tematici: Archeologia, Arte contemporanea, Arte popolare, Arte sacra, Beni ambientali.
Nella sezione riservata all’archeologia ritroviamo reperti rinvenuti durante 2 due campagne di scavo coordinate dal Prof. Giuseppe Roma, del Dipartimento di Archeologia dell'UNICAL, tenutesi tra il 2009 e il 2011, in località di Sasso dei Greci, che attestano la presenza di insediamenti bizantino-longobardo. Troviamo quindi utensili in ferro destinati alla lavorazione boschiva. Di particolare valenza risultano essere le monete rinvenute: un follis dell'Imperatore Bizantino Costantino VII, coniato tra il 913-959, ed un tarì aureo della metà dell'XI secolo di coniazione normanna. Rinvenuti inoltre frammenti di ceramica e frammenti di un enkolpion cruciforme.
La sezione dedicata all'Arte Contemporanea comprende opere donate al Museo Civico dal maestro Giuseppe La Fauci. La ceramica artistica porta la firma di Arte Pink ed è stata realizzata in un arco di tempo che va dal 1964 al 2013: in cotto patinato sono raffigurati soggetti ed episodi sacri e personaggi ispirati al folklore calabrese.
La sezione di Arte Popolare annovera i reperti donati dalla popolazione di Buonvicino al Prof. Francesco Casella. Sono oggetti di uso comune che raccontano la vita quotidiana tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX secolo. Vengono pertanto evidenziati i mestieri più diffusi nel territorio come il falegname, il fabbro, il calzolaio, il boscaiolo. Sono presenti gli utensili che raccontano la lavorazione tessile del lino e della ginestra e la produzione dell'olio e del vino. Infine gli oggetti utilizzati in cucina, per l'illuminazione e il riscaldamento e una piccola sezione dedicata agli strumenti musicali.
La sezione di Arte Sacra conserva oggetti di corredo di una o più chiese, come decorazioni d'altare: lampade pensili, (alcune delle quali riportanti il bollo della Bottega Napoletana di Catello) candelabri, aspersori e secchielli per l'acqua benedetta, navetta porta incenso e turibolo. Sono conservati anche un giglio e una statua in legno raffigurante il Bambinello, databile alla fine del XVII secolo.
La sezione dedicata ai Beni Ambientali presenta 18 pannelli espositivi illustrano l'ecologia del lupo che vive nel Parco Nazionale del Pollino e campioni di roccia ignee e sedimentarie, nonché campioni di stalattiti e stalagmiti.
La Villa Romana di Larderia - Roggiano (CS)
Foto Gaetano Sangineti
BARRIO, “Antichità e Luoghi della Calabria” 1571
Valle dell'Esaro in Età Romana
A quattro miglia su Temesa c’è Vergiano; il volgo la chiama Rogiano, mutate le prime lettere, una volta detta vergae. E' città sicuramente antica, ma non so con certezza se sia stata fondata dagli Ausoni o dagli Enotri. Parla Livio di questa città, che scrive ritornò ai Romani, come ò dimostrato, con alcune altre. L’agro vergiano è fecondo, si producono vini e mieli famosi. Si raccoglie la manna, si produce seta di ottima qualità. Si tessono a Vergiano panni quali sono tessuti a Murano…
Dopo Saracena, a cinque miglia, vi è Altomonte, città antica, su un luogo alto, una volta detta Balbia. Ma si ignora se fu fondata dagli Ausoni o dagli Enotri. Di qui il vino balbino, notevole per bontà, ricordato nel libro XIV da Plinio, che lo loda molto con altri vini di Calabria. Ateneo nel libro I, così ne parla: “Il vino balbino e generoso e duro, e sempre spontaneamente diviene migliore”. Di qui la vite balbina, altrimenti biblina, fu portata dalla Sicilia, come tramanda Ateneo, il quale così scrive nel I libro: “Ippia di Reggio affermo fu chiamata biblina quella vite che Pollis di Argo, il quale regnò su Siracusa, per primo portò a Siracusa dall’Italia, e forse quel vino che è chiamato Polio presso i Siculi, è lo stesso.
Foto Gaetano Sangineti
La Villa Romana loc. Larderia
foto Gaetano Sangineti
Al centro della Media Valle dell’Esaro, adagiato su una collina, il paese di Roggiano Gravina dove vegetano rigogliose querce, ulivi e viti, sorge a 225 m s.l.m., in una posizione baricentrica tra lo Jonio e il Tirreno.
Nel comune di Roggiano Gravina, alla sinistra del fiume Esaro, si trova la località di Larderia dal latino lardum = lardo e trae nome dalla grande produzione agricola e dall’allevamento dei suini, molto importante in questa zona.
L’importanza di Larderia nasce nel 1973, anno in cui furono condotti scavi nell’area per la costruzione della diga dell’Esaro.
L’ex Casmez, per dare una sistemazione idrogeologica, che portasse all’utilizzo dell’acque dell’Esaro e all’attenuazione delle piene, redasse uno schema idrico, che prevedeva di costruire due dighe sullo stesso fiume: la prima a Cameli, la seconda a Farneto del Principe di Roggiano Gravina.
Quest’ultima fu data in appalto all’impresa “Ferracemento”, ma durante i lavori vennero alla luce i ruderi di un’antica struttura.
I responsabili della Soprintendenza alle Antichità della Calabria avviarono due campagne di scavo, una nel 1974 e l’altra nel 1975.
La prima campagna di scavo, condotta dal dott. Chiarlo, ha portato alla luce una villa rustica di età romana, databile tra il I e sec. d.C., organizzata su diversi livelli e formata da una parte residenziale e una parte produttiva.
Sono stati ritrovati numerosi frammenti di sigillata italica, di forme diverse sia lisci che decorati, una lucerna a matrice, vari frammenti balsamari, la metà inferiore di un pithos, un’ansa di bronzo.
La campagna di scavo ha interessato anche una zona posta a circa 200m a nord- ovest, qui vi si nota un rudere costituito da un’abside, in opera mista.
In questa zona sorge il complesso termale, dotato di sistema di riscaldamento alimentato da una fonte che in gergo viene chiamata la “fonte del lupo”.
Nel 1975, unitamente alla scoperta relativa a quest’impianto termale, venne messo in luce il primo di una serie di pavimenti a mosaico, che sono il tratto saliente di questa villa.
La villa di Larderia è l’unica villa della Calabria settentrionale, che abbia un così alto numero di mosaici pavimentali, tutti con decorazione geometrica realizzata sia con tessere bianche e nere, sia con tessere policrome.
Dalla villa di Larderia si hanno importanti indicazioni: i mosaici sono probabilmente il prodotto di artigiani locali, che lavoravano nel territorio della città di Copia (Sibari), su cui gravitava la valle dell'Esaro.
Dott.ssa Viviana Caparelli
Foto Gaetano Sangineti
Casalini della Porta Serra - San Sosti (CS)
Lungo un sentiero che si inerpica al di sopra del bellissimo Santuario della Madonna del Pettoruto presso San Sosti, nel Parco Nazionale del Pollino, attraverso boschi misti di leccio, querce, pini e frassini incontriamo resti di mura che testimoniano l’antica presenza umana in questo corridoio sulle gole del fiume Rosa. Posto a 896 metri s.l.m. scopriamo un interessantissimo luogo fortificato.
Lungo il sentiero ci lasciamo alle spalle i ruderi di antiche fortificazioni, muri, torrette e cisterne, fino ad arrivare su dove alcune torri ci danno l’idea di essere al centro di un trapezio difensivo. Gli scavi archeologici ci ridanno una cronologia interessante, poiché l’area è frequentata dal Neolitico medio. Successivamente tra il VI ed il VII sec. d.C. fu edificata una prima cinta muraria di quello che può essere definito un Castrum. Ancora più tardi tra il X e l'XI sec. d.C. questa “Acropoli” venne ulteriormente fortificata per poi arrivare all'ultima fase, collocabile tra il XIII ed il XIV sec. d.C.
• Pavimento di una capanna di età protostorica.
• Insediamento longobardo del VI-VII sec. d.C.
• Kastron bizantino risalente al IX-X sec. d.C.
L’accesso alla cittadella avveniva attraverso una “porta a tenaglia”, ovvero, una strada con passaggio obbligato tra due torri, ottimale per il controllo e difesa dell’ingresso.
Nel punto più alto troviamo i resti di una chiesetta bizantina con la tipica navata a pianta longitudinale. Presenta un’abside centrale rivolto a est, rispettando i canoni liturgici orientali, e due piccoli absidi, rispettivamente diakonikon e prothesis, databile al IX-X sec.
Questo affascinante e panoramico luogo immerso nel verde è sicuramente uno dei siti archeologici più interessanti del Parco Nazionale del Pollino, Casalini di Porta Serra, forse l’antica Artemisia, chi può dirlo, sicuramente rimane un luogo di straordinaria bellezza dov'è possibile respirare l’aria purissima, ed essere accarezzati dal passaggio della storia, quella storia poco nota ma che tramanda la cultura e lo straordinario passato di questi meravigliosi luoghi.
foto Gaetano Sangineti
L'Ospizio del SS. Crocifisso
Lungo la strada che da Castrovillari conduce al borgo di Morano Calabro, una volta superato il ponticello dell’antica ferrovia calabro-lucana Lagonegro-Spezzano Albanese, incontriamo una struttura che desta grande curiosità, l’ormai rudere dell’Ospizio del SS. Crocifisso, storico convento di Morano.
Edificato nell'anno 1666 sul ciglio della strada consolare, per iniziativa del Sig. Marco Colobraro e alcuni fedeli che con le proprie offerte riuscirono nell’intento di edificare un rifugio atto ad accogliere viandanti ammalati e bisognosi di soccorso, specialmente nella stagione invernale.
Portato a termine nel 1673, il complesso era costituito da una chiesetta omonima, da un caseggiato a forma di convento ed un attiguo appezzamento di terreno le cui derrate maggioravano l'introito enfiteutico annuale di altri terreni valutato in 28 ducati. Il fondatore ne tenne l’amministrazione per 10 anni, poi divenne jus patronato del real Demanio, gestito dalla Beneficenza.
Poiché questa ne trascurò la manutenzione, nel 1854 era ridotto in pessime condizioni. Ferdinando II decretò che ne avessero cura i Cappuccini. Il suo ripristino andò di pari passo con quello del convento di Morano fino alla soppressione. Delle vicende posteriori non si fa più cenno nelle fonti, e con ogni probabilità l'Ospizio del SS. Crocifisso, tornò in possesso del Demanio.
ph. G.S.